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Un’amicizia
di
Silvia Avallone
a
cura di Lilly Rosso
Nell’agosto
2020 Rossana Campisi su “Io donna”, rivista settimanale
del Corriere della Sera scriveva: “ L’amicizia è il
nuovo bene rifugio, quello su cui investire, è stato chiaro in
questa nostalgica balera del tempo post lockdown … Le amiche ti
regalano un senso più libero di ciò che puoi essere. Lo sapevano
Candance Bushnell, autrice di Sex and the City e ancor prima Virginia
Woolf che ha scritto Le onde come testamento dell’unico
sentimento che ci rende completi…”
L’
amicizia è certamente uno dei modi più intimi per esplorare il
mondo ma, cercando nella letteratura classica da Achille e Patroclo a
Eurialo e Niso o Cloredano e Medoro, di amiche neanche a parlarne. Il
mito greco che racconta l’origine di questo straordinario
sentimento si lega a due fanciulli, Eispnelas e Aitas, che vivevano
in un villaggio della Laconia e frequentavano il non lontano
santuario del dio Apollo cui un giorno rivolsero la stessa preghiera
affinché la loro amicizia non fosse cancellata dal tempo. Quando i
due amici, tenendosi abbracciati, uscirono dal santuario, il dio
Apollo li trasformò in una meravigliosa pianta di ulivo,
carico di frutti. Alcuni pellegrini, vedendo il prodigio, esclamarono
“è stato dio” esclamazione usata da allora per indicare il nuovo
albero dai preziosi frutti, mai apparso prima sulla terra, di cui
nessuno avrebbe potuto fare a meno come del sentimento dell’amicizia
che lo aveva generato.
“Infatti
sembra che tolgano il sole dall’universo coloro che tolgono dalla
vita l’amicizia, della quale nulla di meglio riceviamo dagli dei
immortali niente di più piacevole” ( Cicerone De
amicitia, 47)
Oggi
di libri sull’argomento ce ne sono tanti: Noi che ci vogliamo
così bene di Marcela Serrano, La grande amica di
Catherine Dunne, Fai piano quando torni di Silvia Truzzi,
L’amica geniale di Elena Ferrante, Parlarne tra amici
di Sally Rooney, Amiche devote di Molly Keane, ecc.
Nel
2020 torna in libreria Silvia Avallone, voce ormai matura nel
panorama della nostra narrativa contemporanea, con Un’amicizia,
in corso di pubblicazione in 14 Paesi. Con il suo romanzo d’esordio
Acciaio(2010) vince il premio Campiello Opera Prima e si
classifica seconda al Premio Strega. Da Acciaio è tratto il
film omonimo presentato nel 2012 alla Mostra internazionale d’arte
cinematografica di Venezia, all’interno delle Giornate degli
Autori. Nel 2013 pubblica Marina Bellezza e nella primavera
del 2014 è a Soverato per presentare il libro alle ragazze e
ai ragazzi delle Scuole Superiori in un incontro organizzato dalla
Biblioteca delle Donne in collaborazione con la libreria Ubik di
Catanzaro Lido. Nel 2017 è la volta del terzo romanzo Da dove la
vita è perfetta,titolo tratto da un verso di una sua poesia
giovanile de Il libro dei vent’anni e dedicato alla figlia
Nilde.
SILVIA
AVALLONE
Un’amicizia
si muove all’interno delle relazioni
adolescenziali e familiari e viene considerato da alcuni un
romanzo di formazione con ambientazione storica che coincide tra
l’altro con il periodo in cui Silvia Avallone è adolescente.
Se la gioventù è stata la protagonista della modernità tanto che
se ne è raccontata l’uscita dall’infanzia e la ricerca di una
propria identità attraverso il romanzo di formazione, nella tarda
post- modernità che stiamo vivendo la “formazione”avviene per
canali piuttosto nebulosi, quando non pericolosi e soprattutto poco
chiari per gli adulti.
Lo
schermo del computer della tv, del telefonino è spesso il veicolo
principale per costruire il proprio “romanzo” e chissà se
qualche volta le ragazze e i ragazzi interrogano uno specchio, magari
in segreto,per rimetterne insieme i frammenti e chiedersi chi
sono e cosa desiderano diventare.
Il
libro di Avallone è un viaggio nella propria esistenza e, come in
tutti i viaggi, i significati si intrecciano e si moltiplicano, a
seconda delle segrete aspettative di chi si è messo in cammino.
Sullo sfondo la rivoluzione digitale degli anni 2000 che ha
trasformato il nostro modo di vivere, in profondità. E’ un testo
sul nostro inizio millennio tecnologico e telematico, di pervasiva
infatuazione mediatica quando per navigare bisogna occupare la linea
telefonica, non esistono i social e i Blink 82 spopolano con Adam’s
Song.
Trama
Il romanzo racconta l’amicizia di Elisa e
Beatrice,due figlie della provincia italiana, dall’inizio delle
scuole superiori al loro oggi di donne adulte, dal 2000 al 2020.
E’ una storia a ritroso narrata in prima persona da Elisa, madre di
un 12enne, ricercatrice e docente universitaria a Bologna, nata e
vissuta prima a Biella, poi negli anni del liceo nella località
toscana di T e infine e al presente a Bologna. E’ a T
città di mare che Elisa incontra Beatrice la sera di Ferragosto e
poi tra i banchi di scuola. Sono opposte e simili, entrambe
eccellenti nei voti ma l’una introversa e l’altra aggressiva,
unite e divise da sentimenti di soggezione e attrazione, di
indipendenza e compensazione. Un’amicizia che diventa un destino,
segnato da complicità e lacerazioni, di fatto ineludibile e
inscindibile. Beatrice bellissima, disinvolta,sfacciata, ha occhi
eccezionali di un verde smeraldo introvabili in natura. Ossessionata
dalla propria immagine, è destinata a diventare una star dei social,
“una stella di questa società narcisistica e
autoreferenziale, esibizionista e mascherata, nella quale il
culto dell’immagine è il riflesso di una civiltà imbalsamata dal
terrore della dissolvenza e della morte”.( Gino Ruozzi Il
Sole 24 Ore). Elisa goffa, trasandata, capelli rosso carota, tagliati
da maschio, cammina come Charlot con degli anfibi viola dalla punta
di ferro n. 40, troppo grandi per un piede n.36 come il suo.
Per la sua classe è la “sbiellata”, “la straniera”,
“l’asociale” che continua a trovare tra le pagine del libro il
suo rifugio. L’incontro con Beatrice è molto importante perché
Elisa era sola prima di lei… Gira su un Quartz di seconda mano
decorato da adesivi imbarazzanti. Entrambe quattordicenni, Elisa però
ne dimostra 10 e Bea 20. La carica visionaria del romanzo libera il
racconto da possibili derive moralistiche. Nel narrare il proprio
tempo, l'autrice mostra il bisogno di scavare nello spirito delle
cose, senza timore di mettere in campo debolezze, vergogne, sogni.
Per esempio nell’orgoglio che non dipende dal riconoscimento degli
altri ma dalla volontà e dal coraggio di essere se stesse.
Nonostante le difficoltà, Elisa riesce a disegnarsi un profilo di
persona autonoma e tenace, con obiettivi confusi e rischiarati
dall’ostinazione dell’impegno e dalla persistenza degli ideali.
La sua voce nella narrazione prende il sopravvento e noi la seguiamo
nelle tante sconfitte e in alcune vittorie che rendono concepibile e
attuabile l’utopia. A cominciare dal romanzo che ricrea basandosi
su “vecchi diari’ che le sembra di sentire scricchiolare nel
nascondiglio in cui li ha sepolti vivi e che le consentono di
raggiungere quell’identità di scrittrice che le dà senso,
sicurezza e prospettive.
Non
è un’autobiografia, ma un interrogare se stessa nel tempo perché
i ricordi non scompaiono; andarli a cercare diventa un impegno
etico,se l’infanzia e l’adolescenza diventano il tempo della
nostra vita e certe adolescenze diventano davvero la chiave, il punto
di ritorno di intere esistenze.
Michela
Marzano su Repubblica scrive: Silvia Avallone ci regala un altro
bellissimo romanzo in cui riesce a descrivere magnificamente ”quel
tacito contatto tra persone” come scrisse Voltaire parlando
dell’amicizia.
Due
termini: contraddizioni e riscatto aprono la chiave di lettura
del romanzo. Sono ricchi di contraddizioni la relazione tra le due
protagoniste e i loro sentimenti individuali ed entrambe come le loro
madri hanno un grande desiderio di riscatto. Alcuni aspetti del
carattere delle due ragazze sono,almeno all’inizio, una risposta ai
comportamenti materni. Senza l'assenza di sua madre, Elisa sarebbe
diventata una scrittrice? E Beatrice sarebbe mai diventata una stella
del web e della moda, senza le suggestioni materne?
Eli
e Bea si affidano ad altri due termini antitetici per affermare se
stesse: parola e immagine o più precisamente la scrittura
segreta di un libro e il racconto pubblico, esibito su web. Due
linguaggi che corrispondono a due modi di raccontare se stesse.
Sei
diari ripresi in mano dopo 18 anni consentono a Elisa di
riattraversare la storia della sua amicizia con Bea e accompagnare la
riflessione esistenziale tra rabbia, solitudine, incomprensioni,
vuoto, nostalgia. Non vuole scrivere un romanzo ma mettere a fuoco
chi è.
E’
la vita vista da dentro che, quando la vivi,non sai dove ti sta
portando, puoi solo registrarne le immagini e riprenderle dal rifugio
della memoria.
“
Non sapevamo quasi niente l’una
dell’altra, io non conoscevo il suo dolore e lei non conosceva il
mio”.… io non ho conosciuto la Rossetti: io so chi è Beatrice“.
“Mi
sono tenuta questo vuoto nell’anima per tanto di quel tempo che
adesso non me ne importa niente se sono all’altezza oppure no. Non
voglio dimostrare niente. Solo raccontare.”
Ognuna
scopre una parte di sé e vede nell’altra uno
spazio interiore, una sofferenza sopita che le accomuna. La
loro amicizia sarà un’officina sperimentale perché l’amica
dell’adolescenza è “il luogo” in cui si sperimenta l’identità,
dove smetti di essere solo figlia dei tuoi genitori. In lei ti
specchi, fai le prove. L’amicizia adolescenziale è quasi sempre
esclusiva, un legame che si pensa indissolubile e spesso è più
importante del primo amore.
Ci
si lega da ragazzine e si rimane unite tra alti e bassi per tutta la
vita, ci si incontra per caso e si ha la sensazione di conoscersi da
sempre.
Nel
romanzo c’è una gran volontà di tradire la propria madre, un
forte desiderio di libertà femminile da lei (elemento tratto da Elsa
Morante). Le vite delle madri sono piene di dolore, di negazione del
sé. Annabella, madre di Elisa, mette sotto chiave il suo talento
musicale, la madre di Beatrice rinuncia alla carriera da modella ma
le lacerazioni di entrambe filtrano dallo sguardo che rivolgono alle
figlie. Le madri del romanzo e quelle reali consegniamo un’eredità
e, come nella vita, alcune di noi sono costrette spesso a fare un
passo indietro. Due madri, un po’ teste d’ariete delle figlie che
invece sono pronte per l’identità vera. Come riescono Eli e Bea a
difendersi da quello sguardo?
E’
l’amicizia tra le ragazze, il laboratorio di rivoluzione e di
emancipazione per difendersi da quello sguardo.
Un
bel libro per capire come si diventa grandi.
Un
romanzo straordinario che affronta temi profondi e delicatissimi: il
rapporto tra l’essere e l’apparire, l’identità e l’alterità,
la verità e la menzogna.( Michela Marzano).
Silvia
Avallone ci propone una riflessione amara sul valore delle apparenze.
E’ una storia sull’amicizia, sugli affetti, nell’età
dell’apparenza. E ci porta a chiederci : Quanta verità contiene la
perfezione, la bellezza, la felicità sui social?
“Bea,
scrive Elisa, è rimasta dentro quella domanda. Sembro felice?
Del
resto Ginevra dell’Osservanza, madre di Beatrice sembrava felice ma
non lo era. Diceva alla figlia: “La realtà non ha la minima
importanza. E’ come veniamo percepiti che conta: come ci vedono gli
altri, cosa lasciamo loro immaginare. Io sembro felice, no?
Felicemente sposata. E tu, a volte, mi sembri perfino una figlia
perfetta”.
E
così accade che, dopo una presenza da ospite in una trasmissione
televisiva, si parla solo di Beatrice in tutta Italia, arrivando
addirittura a scomodare Merleau- Ponty e la Fenomenologia della
percezione.
Beatrice
ed Elisa tra apparenza e autenticità rappresentano due demoni
opposti e questo le allontanerà. “Tu sei me” e “Tu eri me”
sono le frasi che le amiche si rivolgono e che ci parlano di un
rapporto fusionale che poi si trasforma in conflitto ingestibile.
Il
libro di Silvia Avallone però è anche altro. Nel romanzo vengono
predisposti due percorsi principali, collocati rispettivamente
sull’asse del tempo e dello spazio- T- Biella- Bologna.
La
storia di un’amicizia e quella familiare viaggiano parallele. C’è
il percorso di una figlia che va alla ricerca di quel vuoto che ha
condizionato la vita di sua madre e il racconto di un’assenza
materna che diventa spaesamento e fardello insopportabile per
un’adolescente.
“ Muore
la mia infanzia, dice Elisa,mentre la madre Annabella spensierata e
lieve come il suo nome, la separava dalle montagne biellesi e lei
stringeva tra le mani Menzogna
e sortilegio,
preso in biblioteca e mai restituito”.
E
Beatrice già adulta confessa “Io non lo so, quello che voglio.
Fuori dallo sguardo di mia madre, dalle fotografie. Io non so chi
sono”
L’assenza
richiede per poter essere messa in scena una solida ed
elaborata struttura, come ben sa quell’ex bambina che a distanza di
tanti anni e tante esperienze vuole avere ragione dell’indicibilità
dell’abbandono materno. Chi va via è spinto da un’urgenza, sia
pure disperata, ma chi resta è condannato all’inerzia
dell’assenza.
Per
spezzare la catena di questo risentimento, c’è la scrittura con le
tante voci che reclamano ascolto, ognuna con le sue parole vitali.
Leggendo
il libro ho fatto mia una domanda tratta da La fatica di diventare
grandi dell’antropologo Marco Aime e dello psichiatra Gustavo
Pietropolli Charmet : “Come si diventa adulti in una società
formata da famiglie più allungate che allargate con relazioni
complici e paritarie tra genitori?, dove si smarriscono le differenze
fra le generazioni?
Ed
ecco che Silvia Avallone ci mostra come le relazioni familiari,
pur nella loro complessità e nell’infelicità che spesso
procurano,si rivelano ancora una volta un vero motore di crescita
interiore e di passaggio verso una maturità più consapevole.
Diversi
i personaggi maschili che ruotano intorno alle figure femminili e
sono determinanti nelle loro vite.
Beatrice
è affascinata dal padre di Elisa, un intellettuale che aveva sposato
Annabella, una donna diversissima da lui. E’ Paolo, l’uomo nuovo,
generoso, modello ideale di genitore che ha un ruolo chiave nella
crescita della figlia: cucina, fa la spesa, stira, si prende cura di
Elisa, e per un certo periodo anche di Beatrice, è curioso e
riesce a traghettare entrambe le ragazze verso il futuro.
Un
padre separato che affronta con Elisa un percorso inedito e cerca un
ordine nelle pieghe faticose della convivenza.
“Con
un ritardo di 14 anni era difficile cominciare una relazione”,
pensa Elisa, anche se l’ingegnere prende sei mesi di aspettativa
all’Università pur di accudirla. E poi “In casa c’era
educazione, buon cibo e la tavola era apparecchiata bene non nel modo
approssimativo di mamma”.
Eli
solo col tempo imparerà a conoscere suo padre, quell’uomo di cui
non aveva mai colto la profondità e le fragilità.
“Un’amicizia
è anche un libro di famiglie. Sono incerte e mobili,disperse e
sfuggenti, eppure legami che restano e talvolta inaspettatamente si
rianimano. Sembrano ossimori viventi, radici che non si possono
svellere. Come le amicizie”. ( Gino Ruozzi Il Sole 24 Ore)
Il
futuro è rappresentato da Valentino, al quale Elisa dedica queste
parole: “ Sei il figlio di un sogno di un 15enne e una 14enne che
avevano immaginato mille volte d’incontrare l’anima gemella in
biblioteca e poi era accaduto. E anche se dopo la realtà si è
rivelata non all’altezza, però non si può lasciare mai, un sogno.
Dovevi nascere per forza.”
Il
ricordo non è solo il peso di percepirsi sempre in un altrove
imprendibile ma anche bisogno di capire gli altri e così Elisa mette
in parole le cose che, se nessuno le sa, non esistono, ma che bussano
inspiegabilmente alla porta del cuore, un’oscurità dolente cui dà
voce.
Silvia
Avallone cerca dei riferimenti nella sua biografia e li sublima nella
costruzione di una storia che rappresenta un’intera generazione e
va oltre, entrando nella psicologia adolescenziale e in quella di due
famiglie in particolare. Da piccola la madre accompagna Silvia in
biblioteca e le trasmette quell’amore per i libri che apparteneva
alle donne della sua famiglia, mentre Annabella abbandona la piccola
Elisa tremante per la febbre alle due bibliotecarie della palazzina
Piacenza, solo perché non sa a chi lasciarla. In libreria Silvia
Avallone incontra il marito, mentre Elisa incontra in biblioteca
Lorenzo, il ragazzo di cui s’innamora, quasi a evidenziare che i
lettori si riconoscono nella passione per la lettura e si portano
dietro suggestioni, passioni e consapevolezze.
Il
premio Nobel Derel Walcott visto da Elisa attraverso la
vetrina di una libreria è un’ emozione di Silvia; del resto
Bologna è la città che sazia la sua fame di letteratura.
La
provincia è la geografia dell’anima dell’autrice e nel libro ci
sono i tre luoghi della sua vita: Biella, la provincia toscana e
Bologna.
Il
Babylonia, dove le ragazze e i ragazzi pogano e fumano, mentre gli
Offspring cantano, era il top della sua adolescenza ma oggi non ne
resta immagine né traccia. Il mondo adolescenziale è solo in
Silvia.
L’io
narrante si muove anche nella Storia,raccontando l’agitarsi di una
coscienza nei movimenti della sinistra.
Le sue idee politiche traspaiono: “Beatrice è spudoratamente
capitalista”, dice Elisa che legge il Manifesto e riflette sul suo
Occidente colpevole, l’Australia che brucia, il Mediterraneo
diventato ormai un cimitero, la strage di Bologna, Trump che divide i
figli dai genitori al confine con il Messico,i ghiacciai che si
stanno sciogliendo al punto di non ritorno.
L’intimità
del ricordo si trasferisce in una scrittura che ha i toni della
confidenza, di uno sfogo, mai gridato, pacatamente sofferente,
consapevole. In amicizia noi donne ci sentiamo libere di essere noi
stesse.
Un’amicizia
riporta diverse citazioni letterarie tra le quali risalta quella di
Menzogna e sortilegio di Elsa Morante. Il romanzo d’esordio
della scrittrice che nel 1948 vinse il premio Viareggio a pari merito
con Aldo Palazzeschi. Elsa Morante aveva 36 anni, come Silvia
Avallone nell’anno di pubblicazione del suo ultimo lavoro. E’
un’affettuosa e tacita dichiarazione di poetica, specie nel
passaggio in cui si specchiano entrambe le protagoniste: “Pensano
di conoscerti, là fuori, di sapere tutto di te e tu glielo lasci
credere perché il tuo lavoro è come la letteratura: menzogna - me
lo hai insegnato tu stessa – e sortilegio. Ma la realtà è che non
hanno idea di chi tu sia, si accontentano dello scintillio in
superficie mentre a me rimane tutto il buio. Ti seguono su internet e
io ti ricordo. Loro hanno le foto, io ho te. Su una sola cosa,
infatti, di quel che oggi combini – feste esagerate,viaggi
intercontinentali,abiti da migliaia di euro- siamo d’accordo:il
silenzio assoluto sulla verità, sul passato e su di me”….
“Ho
scritto che Beatrice era una ragazza normale all’epoca, ed è vero,
però aveva un dono: sapeva leggere. Non in superficie e neppure
all’interno, ma al cuore. Delle parole, dei gesti, degli abiti.
Proprio lei che all’apparenza avrebbe fatto la sua fortuna, sapeva
che la verità di una persona, come di un libro, è in ciò che
rimane muto: e segreto.
Avallone
assorbe la grammatica di Morante ed ecco Beatrice che dà morsi alla
vita, cosa che non riesce a fare Elisa, che inizialmente non ha
strumenti per superare la sua asocialità.
E
la stessa Elisa, in una notte d’amore con Lorenzo, con una
dichiarazione letteraria eroica e una spacconata da ragazzina,si
trasforma nell’Anna morantiana che giura amore eterno al suo
Edoardo.
“Leggete
L’isola di Artuto
della Morante
ripete Elisa alle ragazzine. Il futuro procede per sottrazioni, non
aumenta nulla, solo la nostalgia” La provincia è un po’
come l’isola di Arturo che ti sta stretta. “L’isola nativa
rappresenta una felice reclusione originaria e insieme la tentazione
delle terre ignote. L’isola è il punto di una scelta, un’uscita
rischiosa, possibile solo attraverso il passaggio dalla preistoria
infantile verso la storia e la coscienza e la traversata del
mare materno”.
La
maestra con la M maiuscola è Elsa Morante ma anche Ferrante e
Ammaniti sono ampiamente citati, anche in modo scoperto. Ammaniti è
lo scrittore dell’adolescenza in provincia, Ferrante parla di
amicizia e femminilità. Per Avallone le donne di Ferrante arrabbiate
e appassionate sono una continuazione di quelle di Morante.
Anche
per Morante vale quello che dice Carolyn G. Heilbrun “Per
raccontare una donna contano le relazioni”.
All’origine
della formazione di Silvia Avallone c’è però la poesia,la sua
lettura seria. Alle elementari studiava Pascoli e sentiva una sorta
di innamoramento per la poesia come per le montagne di Biella. Altro
nome che torna con gratitudine nel romanzo è quello del poeta
Sandro Penna, in uno degli episodi più belli del libro, raccontato
con quella delicatezza propria delle cose che possono in un
attimo accadere o svanire. E sotto il banco del liceale Lorenzo c’è
Stella variabile di Vittorio Sereni.
Silvia
Avallone con questo romanzo mostra un’esigenza di cambiamento, di
liberazione, scrive in prima persona per essere libera di commentare
e fa i conti con le sue paure e con la rivoluzione tecnologica. In
un’intervista recente dice: “Sono cresciuta telefonando alle
amiche,non esistevano i telefonini, c’erano i diari, usavo il
motorino per andare a nascondermi e mai mi sarebbe venuto in mente di
scattarmi delle foto per condividere i momenti più belli perché
segreti. Mi sono ritrovata a 36 anni a curare le mie foto sui social.
Nella letteratura si racconta l’indicibile, l’invisibile, i
segreti,i tremori, per questo profuma di verità. Nei social c’è
la narrazione di una felicità assoluta, i successi, la gioia. Quello
che è interessante per la letteratura non è l’immagine ma ciò
che accade tra una foto e l’altra. Per la prima volta mi sento in
pace, mi accetto per quella che sono”. E' forse il suo modo di far
pace con la sua adolescenza e lasciarla andare.
Avallone
cita Jonathan Franzen come esergo “A cosa serve la vita? Non lo so.
“Neanch’io”. Ma non credo che serva a vincere”. Correzioni
è uno dei grandi libri che segna una linea di demarcazione rispetto
a Roth, Yates e alla vecchia guardia americana. Rispetto agli altri
Franzen mostrò che la frantumazione dei rapporti porta a una
dichiarazione sentimentale. C’è una famiglia disgregata che vive
in una piccola città del Midwest americano e fonda la propria
sopravvivenza sulla perpetua illusione che, applicare delle
correzioni rispetto al proprio portafoglio titoli in base
all’andamento del mercato o rispetto ai propri comportamenti,
servirà a cambiare qualcosa. In Franzen però i rapporti umani e
familiari restano il nodo irrisolto, non ci può essere
riconciliazione, perché l’America va dentro la sua pastorale
americana mentre la pastorale italiana di Avallone trova pace nella
cultura, anzi nella letteratura.
“La
letteratura è obsoleta”, dice Bea ma è proprio la letteratura che
salva Elisa che sogna di diventare scrittrice. La letteratura torna a
33 anni, dopo la stroncatura a scuola della prof.
Un’amicizia
cita anche Pastorale
americana dove le vite personali dei
protagonisti vanno letteralmente a pezzi, mentre sullo sfondo lo
scandalo Watergate scuote gli Stati Uniti. Elisa ricorda di aver
regalato a Bea per il 18° compleanno Anna Karenina che muore perché
si era data in precedenza una meravigliosa opportunità: compiere
errori.”Ecco come sappiamo di essere vivi sbagliando” ha scritto
qualcuno. Ma Beatrice non intendeva affatto vivere. Doveva solo
rimanere immobile, sorridere, trattenere il respiro per appiattire la
pancia. Come le aveva insegnato Gin e come a Gin era stato insegnato
a sua volta. Chissà chi lo ha stabilito per primo a quale istantanea
devono sottostare le donne”.
Lo
stile di Silvia Avallone si adatta all’atmosfera. C’è una parte
più ritmata che si confà ai tempi dell’adolescenza e un ritmo più
lento proprio del momento riflessivo. E' un romanzo elegante,
nostalgico, a tratti, ma poi fa pace con il tempo, i cambiamenti, i
rapporti sfilacciati e perduti.
La
scrittura è moderna sia nella trattazione dell’elemento temporale
che nella ricerca di espressione soggettiva. Una scrittura che
risente dell’interesse per il cinema.
Varie
le citazioni musicali: i Blink 82,i Pink Floid, i Led Zeppelin,Vasco
Rossi,Sfera Ebbasta, Fabri Fibra.
In
una delle pagine finali Beatrice si scatta una foto assieme ad Elisa
e, vedendosi brutta per la prima volta, dice: “Lo vedi, l'amicizia
non viene bene in foto” ed Elisa risponde: “Forse chi siamo è
infinitamente più interessante e commovente di quel che vorremmo a
tutti i costi sembrare”
Un’amicizia
si conclude con una domanda
esistenziale: “ La vita ha davvero
bisogno di essere narrata per esistere?”
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